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[Apocalisse 4°] ~ Breve Commento al Cuore dell’Apocalisse: Capitolo XIX
[Apocalisse 4°]
COMMENTO AL CAPITOLO XIX
L’Apostolo (Sales, La Sacra Bibbia commentata, cit., p. 669, nota 1) canta la rovina della Babilonia mistica, ossia della Gerusalemme deicida, e della Roma che ha abbandonato Cristo per seguire l’anticristo; questa rovina è festeggiata in cielo con canti di gioia (vv. 1-10). I Santi lodano Dio per aver castigato la “gran meretrice”, che per odio contro Dio aveva martirizzato numerosissimi fedeli (XVIII, 24). Landucci commenta: “prorompe in cielo un canto trionfale in suggestivo contrasto alla tragica disfatta di Babilonia. Questo canto ribadisce l’antitesi tra le due opposte città: di satana e di Dio. Questa antitesi è il tema saliente dell’Apocalisse” (Commento all’Apocalisse di Giovanni, p. 197, nota 2).
Secondo don Divo Barsotti la gran prostituta rappresenta “l’impero universale che si mette al servizio di satana e perseguita la Chiesa” (Meditazione sull’Apocalisse, Brescia, Queriniana, 1966, p. 239). Inoltre Barsotti scrive che nell’Apocalisse vi è “l’intento di vedere la storia nel suo contenuto teologico come lotta tra la Chiesa e il mondo” (Meditazione sull’Apocalisse, cit., p. 179).
Qui san Giovanni rivela la vittoria finale di Cristo su tutti i suoi nemici. “Il Fedele e il Verace” è Gesù su un “cavallo bianco”, che veniva usato nei trionfi dei generali e degli imperatori, Egli “giudica e combatte”: è il Giudice universale e Colui che sconfigge il diavolo con la sua Incarnazione e morte in croce (cfr. Sales, cit., p. 671, nota 11). Landucci annota: “viene narrata con grande solennità la distruzione dell’anticristo e del suo falso profeta che costituiscono i personaggi animatori della perversione di babilonia. Poi nel capitolo XX sarà descritto il crollo di satana, ispiratore dell’anticristo e del suo falso profeta, ossia di ogni male” (cit., p. 207, nota 10). Dom De Monléon scrive che il cavallo bianco rappresenta l’umanità immacolata sulla quale sussiste il Verbo incarnato (Le sens mystique de l’Apocalypse, cit., p. 313).
A partire dal versetto 19 del capitolo XIX l’Apocalisse riprende il tema della bestia che aveva trattato al capitolo XIII. “Vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far battaglia con colui che stava sul cavallo bianco e col suo esercito”. Si tratta della “bestia del mare” ossia dell’anticristo (XIII, 1) che con l’aiuto del “dragone rosso” (XIII, 2) ossia di satana era riuscito a estendere il suo regno di “42 mesi” sul mondo intero. Ora, però, viene disfatto dal cavaliere “Fedele e Verace”, ossia da Gesù Cristo (cfr. Sales, cit., p. 672, nota 19). Landucci commenta: “il colore bianco è simbolo della santità, dell’eternità, della vittoria. Colui che lo cavalca è detto Fedele, che è la caratteristica del Rivelatore divino, e Verace, che è la caratteristica del divin Rimuneratore, che manterrà pienamente le sue promesse. Il cavaliere è quindi Gesù ” (p. 207, nota 11).
“La bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che aveva fatto vari prodigi davanti ad essa” (v. 20). Gesù sconfigge l’anticristo ossia la “bestia del mare” e assieme a lui anche la “bestia della terra” o i falsi profeti, gli eretici, che hanno ingannato molti fedeli e li hanno fatti cadere in apostasia. “Tutti e due furono gettati vivi nello stagno di fuoco”. Lo stagno è l’inferno (Sales, cit. p. 672, nota 20). Dopo aver descritto l’annientamento di Babilonia, dell’anticristo e del suo falso profeta, poiché la menzogna è la caratteristica propria di satana e dell’anticristo, nel prossimo capitolo l’Appostolo passa a descrivere il crollo di satana stesso.
Natura dell’anticristo secondo la Tradizione
A partire da quanto scritto sin ora si può concludere, prima di commentare il risolutivo capitolo XX, che “L’anticristo è un vero uomo e stimo che tale assioma sia di fede” (Suarez, De Antich., sectio I, n. 4). S. Paolo lo definisce “Homo peccati, filius perditionis” (II Tess., II, 3-7). S. Giovanni Crisostomo, a questo proposito, scrive: “Chi è l’anticristo’? Forse un demonio? No, ma un uomo che si è dato completamente al demonio” (Homilia 3ª in 2am Tess.).
Anche secondo mons. Antonio Piolanti (De Novissimis, Torino-Roma, Marietti, 3a ed. 1950), l’Anticristo per la maggior parte dei Padri è un uomo, di stirpe giudaica e della tribù di Dan (Ib., p. 118), che è trattenuto dalla Chiesa romana (Ib., p. 117). Egli distingue gli anticristi iniziali che agiscono già occultamente, da quello finale che apparrà prima della fine del mondo e che sarà ucciso da Cristo (Ap., XVII, 8).
Piolanti ricorda che alcuni egregi esegeti moderni, sostengono che l’Anticristo sia una forza morale o collettività (Buzy, Bonsirven, Romeo), però molti altri mantengono la tesi dei Padri, la quale da Suarez è ritenuta come certissima (Ib., p. 119).
Ma autori più recenti come Cornelio a Lapide, Suarez… fanno opportunamente osservare che non è necessario intendere che regnerà proprio su tutte e singole le regioni, poiché alcune, remote e selvagge, potranno sottrarsi al suo dominio.
Riguardo alla sua capitale vi sono tre opinioni. La prima ritiene che sarà Babilonia di Caldea (S. Girolamo), ma è la meno probabile. La seconda ritiene che sarà Gerusalemme (S. Ireneo). La terza ritiene che sarà Roma (Cornelio a Lapide, S. Roberto Bellarmino, Suarez):
Daniele (VII, 25) afferma che “saran poste tutte le cose nelle sue mani, per un tempo, due tempi e per la metà di un tempo”. L’Apocalisse ci dà la chiave per interpretare il testo di Daniele: “le fu data la potestà di agire per mesi quarantadue” (Apoc., XIII, 5) cioè tre anni e mezzo; un tempo in Daniele significa quindi un anno, più due, più mezzo, in tutto tre anni e mezzo. Alcuni lo interpretano allegoricamente come uno spazio di tempo breve, altri in senso stretto e matematico.
Per quanto con la tirannia e la persecuzione l’anticristo sia riuscito a dominare il mondo, non regnerà a lungo avendo i “giorni” contati (1.260); in essi inoltre non cesserà di venir combattuto efficacemente da avversari ancora più potenti di lui (“non abbiate paura, Io ho vinto il mondo”), vale a dire la Chiesa con i suoi sacramenti, i Dottori con la loro dottrina, i due profeti Enoch ed Elia ed infine Nostro Signore stesso che lo distruggerà col soffio della sua bocca.
L’anticristo non riuscirà — malgrado l’apostasia generale — a distruggere la Chiesa, poiché Dio ha decretato che essa durerà usque ad consummationem saeculi (Mt., XVIII, 20) e quindi ancora oltre lo stesso anticristo. La Chiesa, però, sarà oltremodo oppressa e indebolita; la maggioranza dei suoi figli e dei suoi stessi ministri l’avranno abbandonata, ma tutto ciò non vorrà dire che la Chiesa sia completamente distrutta e morta: rimarrà sempre intatta nella sua gerarchia. S. Agostino nella Città di Dio (XX, 8) scrive:
Essi tale forza soprannaturale la attingeranno dai Sacramenti che continueranno sempre ad essere amministrati nella Chiesa da un certo numero di preti che non avranno apostatato.
“Ma il Figlio dell’uomo quando verrà troverà forse la Fede sulla terra?”
“Ma il Figlio dell’uomo quando verrà troverà forse la Fede sulla terra?”. Nel Vangelo di S. Luca (XVIII, 6-8) si leggono queste parole nel contesto della parabola della vedova e del giudice malvagio, la quale vuole insegnarci che la preghiera fatta a Dio sarà certissimamente esaudita. Infatti se il giudice iniquo della parabola di Luca, per non essere più seccato, ascolta la povera vedova, la quale non cessa di importunarlo, quanto più Dio, infinitamente buono, accoglierà le nostre richieste.
Tuttavia la frase di Gesù succitata nel titoletto chiude la parabola in un contesto che sembra di difficile comprensione:
Essa viene interpretata comunemente in senso escatologico, e non quanto alla sola distruzione di Gerusalemme, come già nel capitolo XVII, versetti 22-37, in cui Gesù ha preannunziato che prima della fine del mondo, quando tornerà la seconda volta a giudicare i vivi e i morti, non ci si preoccuperà della sua venuta e del suo giudizio, come era già avvenuto ai tempi del diluvio universale e della distruzione di Sodoma, poi quando i discepoli chiedono a Gesù (XVII; 37) «ove avverrà ciò?» Egli risponde «dove sarà il corpo, lì si raduneranno gli avvoltoi», ossia “ubi peccatores, ibi judicia Dei”: Gesù non vuol manifestare né il tempo né il luogo ove apparirà e risponde genericamente che la parusia si verificherà ovunque ci siano uomini da giudicare.
Inoltre la frase secondo cui Gesù si domanda retoricamente se venendo alla fine del mondo troverà la Fede sulla terra va letta non in rottura colla parabola delle vedova e del giudice, ma come sua conclusione “e contrario”. Infatti mentre le preghiere della vedova hanno ottenuto l’ascolto del giudice, “al contrario” alla fine del mondo non ci sarà un’abbondante Fede (come quella della vedova) accompagnata dalla preghiera e vivificata dalle buone opere, proporzionata alla gravità del momento. Comunque la frase del Vangelo di S. Luca non deve essere letta in maniera radicalmente pessimistica e quasi disperata, come se la Chiesa fosse finita all’approssimarsi della parusia:
Infine l’Apocalisse ci parla di due testimoni (XI, 3). Enoch è uno dei più antichi patriarchi, fu padre di Matusalemme che visse 969 anni, ma Enoch lo sorpassa perché il sacro autore, che termina la biografia di ogni patriarca dicendo “et mortuus est”, quando arriva ad Enoch dice: “Camminò con Dio su questa terra e poi disparve perché Dio lo riprese” (Gen., V, 24); e l’Ecclesiastico aggiunge che “fu trasportato da Dio in locu eminenti, da dove tornerà a predicare ai gentili la penitenza”. Elia invece fu rapito da un carro di fuoco (IV Libro dei Re, II, 11 e Ecclesiastico, XLVIII, 9). È prossimo alla fede che dovranno tornare su questa terra a completare la loro missione.
S. Roberto Bellarmino dice che “negare il ritorno di Enoch ed Elia è prossimo all’eresia” (De rom. Pont. III, 6). Ma quando avverrà tale ritorno? È opinione comune che ritorneranno al tempo dell’anticristo e che sono loro i due testimoni dell’Apocalisse cui toccherà combattere apertamente il Figlio del peccato; lo affermano Tertulliano, S. Girolamo, S. Gregorio Magno, Rabano, Cornelio a Lapide e S. Tommaso (S. Th., III, q. 49, a. 5, ad 2um). Enoch verrà per ammonire e condurre a penitenza i cristiani prevaricatori (gentili), mentre Elia verrà per convincere i giudei che il vero Messia è Cristo e non l’anticristo. Dice infatti l’Apocalisse dei due testimoni:
La S. Scrittura alla luce della Tradizione patristica
La Chiesa nel suo magistero infallibile ha definito: “Nessuno deve osare di distorcere la S. Scrittura, secondo il proprio modo di pensare, contrariamente al senso che ha le dato e le dà la Chiesa (…), né deve andare contro l’unanime consenso dei Padri” (Conc. di Trento, Decreto sulla Vulgata e sul modo di interpretare la S. Scrittura, Paolo III, 8 aprile 1546, DS 1507).
Pio XII nell’Enciclica Divino afflante Spiritu (30 settembre 1943) riprende la dottrina di Leone XIII, raccomandando l’interpretazione “data dai santi Padri (EB, 551). La stessa cosa insegna in Humani Generis (12 agosto 1950) [EB, 564/565). Il compito dell’esegeta cattolico, è quello di “assicurarsi se c’è un senso già dato con morale unanimità dei Padri” e quindi di seguirlo. Si può ricorrere anche all’aiuto della filologia, per approfondire l’insegnamento patristico, ma non è mai lecito contraddirlo e neppure invertire i ruoli, dando la preminenza alla filologia sul consenso unanime dei Padri.
d. Curzio Nitoglia
27/12/2014
http://doncurzionitoglia.net/?p=1372
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/?p=1383
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